30 aprile 1916: il sacrificio del Battaglione Val D'Intelvi alla luce delle fonti
Il 30 aprile 1916 il Battaglione Val D'Intelvi fu mandato all'assalto del passo delle Topete e di Fargorida uscendone completamente distrutto. Iniziarono negli anni a girare varie voci secondo la quale i soldati furono mandati a combattere privi della sovramimetica bianca, diventando così bersaglio facile dei difensori austriaci. L'obbiettivo di questo articolo è quello di ripercorrere, tramite l'utilizzo delle fonti, gli attimi concitati dell'attacco, cercando di capire se effettivamente disponessero o meno del mimetismo bianco.
A cura di Stefano Rossi.
Durante i tre anni di guerra sul fronte dell’Adamello, seguirono molteplici scontri e battaglie, alcune delle quali rimangono ancora oggi scolpite nella memoria collettiva per la loro incredibile spettacolarità, basti pensare alla prima conquista italiana del Corno di Cavento; così come sono molti gli avvenimenti o le azioni svolte per scopi bellici (trasporto del cannone da 149G al Passo del Venerocolo) o per pura e semplice sopravvivenza, che soffermandoci per riflettere ci possono far comprendere, in piccola parte, le fatiche e le sofferenze patite da entrambi gli eserciti a quelle quote impervie. Un avvenimento che ha sempre destato il mio interesse, a cui non sono ancora riuscito ad attribuire una conferma certa sulla veridicità dei fatti, è il sanguinoso attacco del Battaglione Val d’Intelvi, completamente annientato nella famosa battaglia del 29 e 30 aprile 1916 per la conquista del Passo delle Topete e di Fargorida. La leggenda di questa disastrosa azione riporta ai giorni nostri l’insensatezza di come questo Battaglione sia stato mandato all’assalto delle posizioni avversarie in uniforme grigioverde, in pieno giorno ed in totale contrasto con il terreno innevato.
L’obbiettivo di questo articolo è tentare di sciogliere il dubbio che aleggia intorno a questo avvenimento, cercando di prendere in considerazione tutte le fonti da me reperite che spaziano dai libri pubblicati sull’argomento ai documenti ufficiali, alle testimonianze pubblicate postume dei reduci adamellini e dall’unico documentario creato con le immagini originali girate dal fotografo, cineasta e regista Luca Comerio.
La nostra ricerca della verità può cominciare dai documenti diretti alle relazioni scritte dagli ufficiali impegnati negli scontri. La prima presa in analisi è quella del Colonnello Giordana, colui che ideò e diede l’ordine d’attacco. Dalla relazione si evince come l’assalto previsto per la mattina del 30 vedesse il Battaglione Val d’Intelvi diretto ad un attacco frontale e che il fallimento dell’azione, con relativa perdita di un grosso quantitativo di uomini, sia da prescrivere alla “[…] lentezza dovuta alla neve molle della vedretta lievemente inclinata a spalto e perciò assai favorevole ai difensori”. Giordana sottolineò, inoltre, come l’attacco del battaglione Val d’Intelvi “[...] vedendo davanti a sé pochi nemici volle andare di sua iniziativa alla baionetta senza attendere il segnale dovuto*: questa mossa indusse il maggiore Ferrari ad assecondarlo ed egli si lanciò per primo alla baionetta sperando che tutta la linea lo seguisse. Questo ebbe un primo slancio deciso, ma essendo stati per disgrazia subito uccisi o feriti la maggior parte degli ufficiali, alla truppa mancò lo slancio e l’attacco non fu spinto a fondo”.
Quindi stando alle dichiarazioni riportate dal Colonnello, oltre a non menzionare la presenza o meno della mimetica bianca, il fallimento dell’attacco è dovuto alla mancanza di coordinazione delle forze impiegate, dalla mancanza di decisione e dalle condizioni del terreno. Di diverso pensiero, invece, è il Tenente Colonnello Cavaciocchi che deve il mancato successo dell’operazione a quelli che lui definisce elementi di “cause accidentali” e non per “cause imputabili ai vari comandanti”. In più, alcune righe sotto tale affermazione, l’ufficiale dichiara: “L’apprezzamento del Colonnello Giordana che l’attacco del Battaglione Val D’Intelvi non sia stato condotto con sufficiente risolutezza non è, a mio avviso, abbastanza fondato, perché fu reso necessariamente lento dalle condizioni del ghiacciaio e dalla ripidezza del pendio. Piuttosto il Colonnello Giordana non fu abbastanza pronto a distogliere dal primitivo compito il Battaglione Val D’Intelvi, il quale, se lanciato subito il 29 a rincalzo del Battaglione Autonomo Garibaldi allorché questo trovò difficoltà a progredire, avrebbe forse potuto obbligare il nemico a sloggiare anche dai passi di Fargordia e Topete”. Non passa di certo inosservata la divergenza di veduta all’interno della vicenda a cui, anche qui, ci si potrebbe porre dinanzi ad un dubbio su chi o meno avesse ragione. Quello che però possiamo notare è come non si faccia riferimento al mimetismo. È importante, inoltre, soffermarsi sulla relazione tenuta dal comandante del Battaglione Val d’Intelvi, ovvero il Maggiore Ferrari, per capire le vere motivazioni del fallimento dell’attacco: anche lui fa notare la difficoltà dell’avanzata dovuta al terreno ripido, dalla neve molle e dalla schiacciante forza nemica, ma è a pochi metri dalla linea di fuoco che succede qualcosa: “Ancora uno sbalzo per portarmi a 50 metri di distanza e dopo avrei fatto eseguire le scariche a salve che dovevano dare il segnale dell’assalto. Ma qui intervenne un atto intempestivo dei due plotoni del passo delle Topete che si lanciarono prima del segnale convenuto all’assalto, poiché ingannati dal grido “Savoia” lanciato con intenzione dall’avversario**. Mi giunse distintamente il grido e il frastuono della mischia ed allora ordinai anche io l’assalto sperando almeno di impressionare l’avversario e di trascinare anche i reparti del Battaglione Autonomo. Questi però, ormai agli ordini del Capitano Valsecchi, non mossero, e le linee da me condotte, dopo 30 metri di corsa su neve molle, sotto raffiche di fuoco nutrito e rabbioso, dovettero abbattersi a terra sfinite.” Anche qui risulta evidente come in quegli attimi concitati fu la confusione a farla da padrone, confusione dovuta, ovviamente, alla fatica e alla stanchezza dei precedenti combattimenti. Come in tutte le relazioni precedenti, nemmeno in quest’ultima si fa riferimento alla mimetica bianca o al fatto che il Battaglione andò all’assalto con l’uniforme grigioverde. Le motivazioni principali della mancanza di tale informazione possono essere diverse: si dava per scontato che alcune truppe combattessero nella neve con l’uniforme grigioverde? Un’ipotesi alquanto utopica ma che merita di essere presa in considerazione: era necessario tralasciare alcune informazioni all’interno delle relazioni per evitare poi eventuali concorsi di colpa per gli attacchi falliti? Si volevano omettere semplicemente alcune verità scomode? O più semplicemente il Val d’Intelvi era munito di sovra mimetica bianca e quindi, essendo una cosa scontata averla addosso per l’assalto, nessuno ne parla?
È presente poi un ulteriore documento stilato dal Maggiore Vitalini nella quale evidenzia come per l’attacco del 29 e 30 aprile tutto il Battaglione Autonomo dovesse disporre delle uniformi bianche per assaltare la linea Crozzon di Fargorida – Crozzon di Lares – Corno di Cavento. Verosimilmente verrebbe da pensare, quindi, che avendole a disposizione e trovandosi al Rifugio Garibaldi, non avrebbe senso dotare solo un determinato numero di soldati di tale aiuto, lasciando alcuni completamente privi di nessun mimetismo, mandandoli incontro a morte certa.
Arrivati a questo punto, che è solo l’inizio della nostra disamina, qualsiasi individuo potrebbe già essersi fatto un’idea di quello che potrebbe essere la verità; prima di saltare a conclusioni affrettate, però, vi invito a proseguire nella lettura per scoprire gli ulteriori scritti sull’argomento.
Dopo aver analizzato i documenti ufficiali, dovremmo concentrarci sulla letteratura storica che negli anni è stata stilata e pubblicata dai due storici che più hanno dedicato la loro vita di scrittori alle vicende dell’Adamello ed alla Guerra Bianca in generale, ovvero Luciano Viazzi e Vittorio Martinelli. I primi veri dubbi su questa vicenda nascono grazie a questi due scrittori in quanto ci raccontano esattamente uno l’opposto dell’altro: Viazzi, tramite una lunghissima nota presente sul suo libro “I diavoli dell’Adamello”, ci racconta di come il Battaglione Val d’Intelvi andò all’attacco in uniforme grigioverde. Ad avvalorare questa sua ipotesi sono due testimonianze: la prima di Gianni Pagani, all’epoca Sottotenente, che rispose così alla sua domanda di ricevere delle maggiori informazioni a riguardo: “Vi era certamente un plotone in camice bianco, ma era quello da me formato e comandato! Il plotone poi era di fatto staccato dal Battaglione Val D’Intelvi e, con altri plotoni sciatori di altri battaglioni, formava la Centuria al comando di Nino Calvi. Questa, da sola divisa in tre gruppi, conquistò alla fine di marzo 1916 la prima catena formata da Lobbia, Cresta Croce, Dosson di Genova e Monte Fumo. Poi a metà aprile l’altra dorsale: Fargordia, Topette, Lares, Punta Attilio Calvi e Passo di Cavento. Fu in quei giorni che il Val D’Intelvi fu mandato al macello in grigioverde […]”. La seconda testimonianza a favore di questo tragico episodio la possiamo trovare riportata in una lettera scritta da Teodolindo de Bernardi, che all’epoca dei fatti era Aiutante Maggiore del Battaglione Val D’Intelvi, a Viazzi nel 1964 la quale afferma che: “La sera del 30 aprile 1916 il mio battaglione rientrava alla linea secondaria Brizio-Venerocolo dopo essere stato valorosissimamente sfasciato in seguito al sanguinoso attacco frontale ad ondate in tenuta scura sulla Vedretta della Lobbia.”
Di tutt’altro avviso sono invece gli scritti di Vittorio Martinelli, il quale affronta l’argomento in maniera molto più estesa all’interno di una nota al termine della sua grandissima opera “Guerra Alpina Sull’Adamello 1915-1916”. Secondo lui, infatti, il Battaglione Val D’Intelvi andò sicuramente all’assalto completamente allo sbaraglio, senza direttive, visto anche lo scarso equipaggiamento e le condizioni del terreno non ottimali, ma lo fece sicuramente indossando la mimetica da neve. Per dimostrare questa sua teoria, diverse prove a suo favore: una delle prime pubblicazioni di Martinelli ovvero “Adamello ieri-oggi” riportava l’episodio descrivendo l’assalto con gli alpini in uniforme grigioverde, salvo poi correggere il tutto dopo il suggerimento del Tenente Aldo Varenna (ex combattente in Adamello) che gli riferì appunto che l’assalto fu compiuto con la mimetica da neve. La seconda prova a suo favore è che il conte Aldo Bonacossa, ovvero colui che dirigeva le riprese cinematografiche per l’azione, ha confermato la stessa versione dei fatti del Varenna anche grazie a delle foto che lo testimoniavano, poi pubblicate, che dimostravano come il Battaglione Val D’Intelvi poco prima della fatidica azione indossasse effettivamente la mimetica da neve. Terzo elemento portato a suo favore è quello di evidenziare come nessun ex combattente austriaco abbia mai sottolineato l’assurdità di tale gesto, cosa che probabilmente avrebbero sicuramente menzionato se fosse il fatto fosse realmente accaduto. Successivamente si dedica a quelle che sono le testimonianze utilizzate dal Viazzi nel suo libro: in merito alla testimonianza di Pagani ha sottolineato come lui stesso, dopo aver parlato con Martinelli, gli abbia detto “[…] di non poter asserire nulla con sicurezza, ma di attenermi con tranquillità assoluta all’ottima memoria ed alla precisione rigorosa di Varenna” (il quale, per chi non se lo ricordasse, affermava appunto la presenza dell’uniforme bianca). In riferimento invece all’affermazione del Sottotenente de Bernardi, Martinelli afferma che si possa valutare la veridicità della sua affermazione soffermandosi anche solo su una frase della sua testimonianza, ovvero che il Giordana gli avrebbe affidato il comando del Battaglione. Quindi, secondo lo scrittore, la fonte era poco attendibile. Addirittura, Martinelli afferma che i combattenti soprannominarono poi l’avvenimento come “La Battaglia dei Pulcinella” poiché erano “tutti insaccati nei costumi di tela bianca”.
Come mai, quindi, i due più importanti storici sull’argomento hanno queste due visioni completamente agli opposti? Chi sostiene effettivamente la realtà? Sarebbe interessante poter sottoporre loro questa domanda ai giorni nostri per capire se effettivamente la loro opinione sia sempre la stessa, oppure semplicemente capire le motivazioni che li hanno portati a sostenere la loro teoria ed esprimere entrambi un pensiero sulle opposte teorie.
Alpini del Btg Val D’Intelvi – in camici bianchi – al Passo della Lobbia Alta, in attesa di attaccare la linea Folgorida – Topette. Foto scattata da Giuseppe Carcano e didascalia scritta da Aldo Varenna. Foto presente all’interno del libro “Guerra alpina sull’Adamello” di Vittorio Martinelli.
Fotografia scattata da Aldo Bonacossa che mostrano il Battaglione Val D’Intelvi. Foto presente all’interno del libro “Guerra alpina sull’Adamello di Vittorio Martinelli.
Dopo aver analizzato la letteratura storica è doveroso dedicare un piccolo spaccato di questo argomento più incentrato sulle testimonianze dirette che sono giunte a noi tramite una pubblicazione. Prenderemo in considerazione tre opere: “La Conquista dei Ghiacciai” di Alfredo Patroni; il diario di Paolo Robbiati contenuto all’interno del libro “Guerra Bianca” e la relazione del Capitano Nino Calvi, trovata all’interno del suo diario, poi pubblicato, con il titolo “La Conquista dell’Adamello”.
I racconti di Alfredo Patroni, da prendere spesso con le pinze visto il suo grande “entusiasmo” nel raccontare certi avvenimenti - entusiasmo che lo porta ad alterare un po’ la piena veridicità degli avvenimenti - non fanno alcun riferimento al tipo di uniforme indossata dal Battaglione Val D’intelvi, anzi, fa un resoconto dell’attacco in maniera molto veloce riportando poi praticamente parola per parola quello che venne trascritto nei resoconti ufficiali alla fine dell’attacco. Analizzando invece il contenuto del diario del Calvi, possiamo notare le forti critiche di quest’ultimo in riferimento al modo di concepire e dirigere questo tipo di attacco: “ In pieno giorno, con un’atmosfera nettissima e con la neve assai molle, il risultato fu come doveva essere, completamente negativo […] L’errore grave sia consentito oltre che dall’inopportunità dell’attacco frontale […], sta nel non aver avuto il Comandante la visione che il passo era già virtualmente caduto e che si poteva risparmiare questo battaglione, destinato a svolgere la seconda grande fase dell’operazione, intensificando l’azione dei reparti che premevano l’avversario sui due fianchi e ne minacciavano al tergo le comunicazioni”. Tramite questo passo appena evidenziato è evidente il malcontento del Calvi ben consapevole delle conseguenze che tale attacco avrebbe potuto causare. Cosa non poco nota è la ben evidente avversione personale che lo stesso Capitano Calvi aveva nei confronti del Colonnello Giordana, sentimenti che non aveva mai celato. Ben consapevole di questa situazione, dell’attacco folle e delle condizioni impossibili - cosa che fece notare nei suoi scritti - non avrebbe potuto anche menzionare la decisione, se così fosse stato, di utilizzare le uniformi grigioverdi causando un simile massacro? Come mai non ne parla? A conti fatti sarebbero state ulteriori critiche, servite per di più su un piatto d’argento, contro l’operato del Colonnello Giordana.
Stando invece ai racconti di Robbiati e del suo diario, l’attacco prende una parte minima di pagine in cui glissa l’avvenimento evidenziando le gravi perdite del Battaglione, questa volta però fornendo alcuni numeri: “Le nostre perdite furono notevoli: 12 ufficiali, dei quali otto morti e quattro feriti, compreso il comandante, 131 uomini di truppa uccisi”. Ovviamente anche in questo caso non manca una leggera critica all’inutile strategia adoperata dal Colonnello Giordana.
Passiamo ora all’ultimo tassello di questa grande carrellata di documenti presenti sull’argomento: non meno importante è il documentario realizzato per gli ottant’anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, dove le testimonianze vengono narrate direttamente dai reduci intervistati che parteciparono agli avvenimenti della guerra bianca sul fronte dell’Adamello. Lo scontro del 30 aprile non prende una grande quantità di tempo, così come non c’è dietro una grande analisi, ci si limita dicendo e cito testualmente: “Il comandante Giordana volle mandare all’assalto il Battaglione Val d’Intelvi, gli alpini utilizzavano la divisa scura grigioverde che sulla neve costituiva un bersaglio fin troppo facile […], sul candore del ghiacciaio per quei poveri soldati non ci fu scampo”. Anche qui abbiamo un’altra versione che contraddice completamente quelle presentate precedentemente e che purtroppo continua ad alimentare i continui dubbi e perplessità.
Come ho ben evidenziato all’inizio è difficile poter stabilire con precisione quello che accadde in quelle giornate, molte sono le fonti analizzate così come sono molti anche i sostenitori di una teoria rispetto all’altra. Si riuscirà mai a scoprire la verità? Quello in cui spero è che, prima o poi, si possa ritrovare un documento, una testimonianza o qualsiasi cosa ci possa tornare utile per fare luce su questo tragico avvenimento.
L’obbiettivo di questo articolo non è sicuramente quello di criticare le scelte intraprese più di cento anni fa, così come non ho intenzione di imporre un’idea o un’opinione. La cosa importante è che, alla luce delle fonti analizzate, ognuno possa farsi un’idea di quello che si è scritto, è giusto avere la propria opinione, così come è giusto aver dato un’occhiata a tutto il materiale di cui disponiamo.
Analizzare e comprendere le fonti è l’unico modo che abbiamo per cercare il più possibile di arrivare alla verità: io la mia idea me la sono fatta, adesso sta al lettore esprimere un’opinione sui fatti di quella terribile vicenda.
* Infatti, il battaglione Val d’Intelvi avrebbe dovuto attaccare in contemporanea, dopo una scarica di fucili utilizzata come segnale, al Battaglione Autonomo che aveva come direzione d’attacco il fianco da sud.
** In verità l’urlo Savoia fu lanciato dal Battaglione Autonomo nel tentativo di conquista, poi avvenuta, di un trincerone di neve e di due baracchini austriaci. L’urlo fu utilizzato anche come segnale d’avviso per il Battaglione Val d’Intelvi. Tutte queste informazioni sono reperibili dalla relazione scritta del Capitano Valsecchi che sostituì il Maggiore Vitalini come comandante del Battaglione Autonomo poiché ferito.
BIBLIOGRAFIA
-Vittorio Martinelli, Guerra alpina sull’Adamello 1915-1917, Bolzano, Vittorio Martinelli e Danilo Povinelli, 1996.
-Luciano Viazzi, I diavoli dell’Adamello, Milano, Mursia Editore, 2019.
-Paolo Robbiati; Luciano Viazzi, Guerra bianca: Ortles – Cevedale – Adamello 1915-1916, Milano, Mursia Editore, 2019.
-Marco Cimmino, La conquista dell’Adamello. Il diario del capitano Nino Calvi, Gorizia, Leg edizioni Srl, 2014.
-Alfredo Patroni, La conquista dei ghiacciai 1915-1918, Milano, Longanesi e C, 1974.
-Alberto Cavaciocchi: L’impresa dell’Adamello. Stato Maggiore della 5ª divisione di fanteria aprile/maggio 1916, a cura di Paolo Marini, Temù, Museo della Guerra Bianca in Adamello, 2016.
-La guerra sull’Adamello, Olimpia Production, 1998.