Guerra, peripezie e ricordi dell'alpino Ghiglione Emanuele (Manuelo)
Questa è una storia come tante altre che racconta di sacrifici e sofferenze di un ragazzo di montagna, strappato ad essa e mandato "alla guerra". Oggi possiamo conoscerla grazie alla voce stessa di Emanuele Ghiglione (Manuelo), vecchio alpino del 1° Reggimento Alpini Battaglione "Monte Clapier". L'intervista è stata registrata nel 1979 negli ultimi anni della sua vita in Valbrevenna.
A cura di Andrea Marighetti
Era ormai la fine di novembre ed in Valbrevenna (Ge) i vecchi montanari, aiutati dai più giovani, approfittavano delle ultime giornate solive per raccogliere nei boschi le foglie. Le bestie ritornate dai pascoli estivi abbisognavano di un comodo letto nella stalla. Il fieno, ammucchiato nel sottotetto, era al sicuro per l’inverno ed i campi, parzialmente dissodati dall’ultimo raccolto, pronti per il riposo. Emanuele, indaffarato nelle faccende di casa, aiutava il padre ed il nonno nel trasporto della legna da ardere per accatastarla nella baracca, le avvisaglie dei primi freddi facevano capire che l’inverno, ormai alle porte, sarebbe stato più lungo del solito ed era bene essere preparati, come da tradizione montanara. La guerra contro l’Austria Ungheria era iniziata da 6 mesi ed il fratello più giovane, Giuseppe, era stato precettato nella mobilitazione nel maggio del 1915, inquadrato nel 13°Reggimento di Fanteria (Brigata Pinerolo). Le notizie delle battaglie arrivavano frammentarie al paese e raccontavano soprattutto del fronte dell’Isonzo. I vari giornali quotidiani ne descrivevano i progressi ed i pochi paesani istruiti alla scuola, radunati nelle fredde vie del paese, le leggevano per tutti. Il Generalissimo Cadorna, con il suo Stato Maggiore, stava approntando piani per sfondare le linee avversarie in quel settore considerato la chiave di svolta della guerra. L'intenzione era quella di portare l’esercito direttamente verso Ljubljana, attraversare la regione della Carinzia (Kärntner) per poi puntare direttamente al cuore dell’Austria, Vienna! L’impresa era ardua, ma l’ottimistica previsione era quella di un ritorno vittorioso alle proprie case prima di Natale. Quella fredda mattina del 28 Novembre 1915 non la dimenticherà Emanuele. Impegnato nei lavori di casa, si sentì chiamare dalla mamma per ritirare un documento dal postino: la cartolina di precetto, spedita dal distretto militare di Genova, era arrivata anche per lui.
Il mattino del 30 di novembre, di buon ora, Emanuele era già alla stazione ferroviaria di Busalla e con lui altri valligiani. Le destinazioni per i presenti erano varie: chi diretto a Genova, chi ad Alessandria e chi a Mondovì. Un’ora più tardi il fumo della locomotiva accarezzava i finestrini della carrozza, il calore umido generato all’interno dalla calca creava un contrasto termico con l’aria fresca esterna e l’umidità bagnava i vetri quasi a ricordare un pianto. Sui duri sedili di legno comunque si rideva e si scherzava ma la tristezza, in fondo al cuore, si mischiava con l’incertezza del ritorno a casa. Il 1° dicembre del 1915 Emanuele Ghiglione, classe 1896 di Valbrevenna in provincia di Genova, era in piedi sull’attenti nel piazzale della caserma del 1°Reggimento Alpini di Mondovì (Cn) in attesa di vestizione e addestramento.
Tanti ragazzi come Emanuele, quel giorno, sarebbero diventati gli alpini del neo costituendo Battaglione “Monte Clapier” formato dalle Compagnie 118ˆ e 119ˆ. Trascorsi quattro mesi di addestramento nella caserma deposito di Mondovì (Cn), il Battaglione “Monte Clapier” formato dalle 2 Compagnie 118^ e 119^ parte per il fronte con destinazione Degna, nel settore Carnico. Nell’attesa del completamento dell’organico, il Battaglione viene impiegato per i lavori di costruzione delle mulattiere Dogna-Pizforchia e Dogna-Mingicos. Il 12 aprile, ad integrazione degli effettivi, arriva la 114^ Compagnia già impegnata fino ad allora sul Monte Pal Piccolo, precedentemente aggregata al Battaglione Alpini Mondovì.
Il 22 aprile il Battaglione M.Clapier lascia il fronte Carnico con destinazione Marostica (Vi), nella pianura veneta, dove passa alle dipendenze della 1^Frazione del Gruppo Alpini E. Nelle zone di Folgaria e Lavarone gli austroungheresi stanno concentrando le loro divisioni per sferrare una poderosa offensiva con l’obbiettivo di raggiungere la pianura veneta attraverso gli altipiani. ll mattino del giorno 15 di maggio giunge notizia che l’offensiva è in atto e le truppe dell’Imperatore Franz Josef I° hanno già travolto la prima linea del fronte. Sono ore di grande ansia, il battesimo del fuoco è arrivato. Zaini, equipaggiamenti ed armamenti sono pronti. La sera del 16 arriva l’ordine di mettersi in marcia perché gli austriaci stanno avanzando travolgendo tutto con furia inaudita. Gli alpini marciano di notte, accompagnati dagli insistenti ordini degli ufficiali per far accelerare l’andatura ma il peso dello zaino carico taglia le spalle, il respiro è affannoso ed il passo non dà tregua. Emanuele in quei momenti intuisce cosa sia la guerra, è frastornato e tutto gli sembra irreale, ma non aveva ancora capito che il peggio doveva ancora arrivare! Gli alpini del “Monte Clapier” giungono a Cogollo del Cengio, la marcia continua senza soste verso Seghe di Velo, Arsiero ed avanti in salita sulla mulattiera che conduce all’altopiano di Tonezza. Gli alpini si trovano in prima linea all’improvviso, l’avversario sta sfondando a Campomolon. Selletta di Toraro, Malga Campoluzzo, Cimone dei Laghi: queste alcune delle località dove Emanuele ed il Battaglione “Monte Clapier” combatteranno per cercare di arrestare la valanga umana comandata dal Feldmaresciallo Franz Conrad Von Hötzendorf. L’artiglieria austriaca intanto scarica sui reparti alpini una quantità devastante di proietti di tutti i calibri, la fucileria e le mitragliatrici radono i pochi parapetti approntati di tutta fretta, è l’inferno. Emanuele prova tanta paura, la sua vita gli passa davanti agli occhi in un’attimo e come lui anche ai suoi commilitoni. Con alcuni contrattacchi gli alpini riescono momentaneamente a domare l’impeto degli attaccanti, forse una insperata tregua per riprendere le forze. Il mattino del giorno 20 l’inferno apre ancora le sue porte, l’artiglieria avversaria sconvolge tutta la montagna. Non può essere vero, in quella bolgia Emanuele è istupidito dal frastuono degli scoppi, vede i suoi amici dilaniati dal bombardamento e la sola cosa che può fare è rimanere immobile sperando di non essere rapito dalla morte. Dopo il bombardamento arriva l’attacco della fanteria, gli alpini questa volta non possono nulla, non sono sopravvissuti in tanti per fermarla. Il trombettiere, ferito ma ancora operativo, riceve l’ordine di suonare la ritirata. Una roccambolesca fuga giù per i canaloni del Monte Cimone salva la vita ad Emanuele che insieme ad altri superstiti della Compagnia, feriti e malconci, raggiungono Seghe di Velo. Gran parte dell’equipaggiamento è perso, in tre giorni di combattimenti non si era potuto nemmeno consumare il poco rancio disponibile. Emanuele ha la febbre, non si regge più sulle gambe, la conseguenza degli strapazzi subiti con la pioggia ed il freddo lo costringono a marcare visita. Il Capitano Longa, comandante della Compagnia, non può fare altro che concedergli il permesso per una visita presso l’infermeria da campo. L’ufficiale medico, dopo averlo visitato, riscontra una preoccupante broncopolmonite e ne ordina il ricovero presso l’ospedale militare di Marostica dove Emanuele rimarrà per un mese.
Il 21 di giugno, dimesso dall’ospedale, Emanuele viene aggregato nuovamente alla sua 118^ Compagnia in partenza per la Valsugana. Attraverso la via ferrata arriva a Primolano per poi procedere a piedi fino a Grigno. I reparti alpini piantano le loro tende presso l’osteria Stefani (Marcone) e si accampano per un giorno. Il 23 riprendono la marcia salendo la mulattiera della Pertica per raggiungere l’Altopiano dei Sette Comuni. Raggiunta la località Malga Giogomalo, presso i Castelloni di S.Marco, si accampano per un breve tempo. Il giorno 26 i reparti alpini marciano verso Malga Fossetta. Giunti a destinazione, la 118^ Compagnia viene aggregata alle dipendenze del Battaglione “Cividale”. Per più giorni la 118^ Compagnia “Monte Clapier” combatterà assieme ad altri reparti alpini per respingere gli avversari fortificati sulla linea Monte Ortigara - Monte Zebio, posizioni conquistate dagli austriaci nell’offensiva di primavera. Le settimane passano, allarmi, attacchi all’arma bianca, bombardamenti! Emanuele si sente svuotato della sua vita chiedendosi a volte se abbia ancora senso lottare per sopravvivere in quell’inferno. Il 2 luglio Emanuele è in prima linea davanti alle trincee austroungheresi di Monte Chiesa ed il suo reparto, assieme agli altri, è pronto all’attacco dopo un bombardamento terrificante di preparazione da parte dell’artiglieria italiana. Un combattimento disperato senza risultati contro i reticolati intatti e le mitragliatrici rabbiose. Assalti ed ancora assalti! I battaglioni alpini si avvicendano, si sostengono, di slancio cadono tutti in quel carnaio. Il 21 luglio ancora assalti verso Monte Chiesa e Monte Campigoletti, tutto inutile. Nemmeno la notte porta riposo, Emanuele prova a scrivere ai suoi cari dalla trincea, approfittando di una tenue luce della candela, non può dormire perché ognuno deve vigilare per non essere sopraffatto all’improvviso.
Il 26 luglio la 118^ Compagnia lascia la località “Busa della Lepre” e si porta a Malga Pozze. Il 31 luglio il Battaglione “Monte Clapier” raggiunge Malga Fossetta per riorganizzarsi. Nella notte del 10 agosto Emanuele è nuovamente in prima linea sulle posizioni del Monte Campanaro e Pozza dell’Agnelizza. Il Battaglione “Monte Clapier” ha ordini di avvicendare l’ormai dissanguato Battaglione “Bassano” a causa dei ripetuti attacchi contro Quota 2105 dell’Ortigara. “La batalia la andava avanti con un continuo bombardamento, cerano buse dapertuto e gran fumo de polvere da sparo l’atraversava la valeta, pezi de ogni genere cadeva da tute le parte e i proietili dele mitralie facevano il verso dei gati indemoniati…” Durante l’assalto al Passo dell’Agnella, la 118^ Compagnia assieme agli altri reparti alpini vengono annientati. I pochi superstiti, feriti e sconvolti, tentano di ritirarsi verso le loro linee ma gli austriaci li hanno già circondati. Emanuele per non cadere prigioniero si finge morto nascondendosi in una buca piena di cadaveri. Gli austriaci intanto verificano che non vi siano sopravvissuti passando con le loro baionette inastate sui fucili trafiggendo i corpi esanimi dei caduti. “No restava altro che consegnarsi per no aver na bruta fine…”
Fatto prigioniero, Emanuele si avviava al suo misero destino. Una marcia veloce lo portava in un accampamento austriaco nelle retrovie del fronte dove assieme agli altri rimane fino al giorno seguente. Alla sera, la colonna dei prigionieri riprendeva lo spostamento notturno per non essere visti dagli italiani e così via per una settimana, sempre a digiuno! “ la terza note de marcia siamo arivati in un campamento e li austriaci preparavano il rancio con acqua e scorze de patate. Avevo na gran fame e li austriaci ci davano solo l’acqua bollita e sporca delle patate. Dovevamo bere in freta però, se no via tuti. Nisuni voleva bere perché l’acqua era tropo calda ma io no vedevo più niente dalla fame e ho bevuto de corsa. Intanto che caminavo sentivo tanto male nella boca, con i dei ho tirato fuori la pelle della lingua…” Tra sofferenze e fatica, dopo una settimana di marcia, i prigionieri arrivarono a Trento al Castello del Buon Consiglio per essere interrogati. Gli austriaci volevano capire se durante i loro spostamenti qualcuno avesse visto le linee austriache con le postazioni di artiglieria. Emanuele, inteso il pericolo, riferì che per quello che gli riguardava non aveva visto nulla perché aveva camminato solo nelle ore notturne. Dopo l’interrogatorio, i prigionieri furono accompagnati alla stazione dei treni di Trento. Caricati sul treno saranno trasportati direttamente nel campo di concentramento di Mauthausen presso Linz, nell’Alta Austria. “ un viagio lungo, ma ridiamo tanto lo steso perché contenti de no esere al fronte per morire però quando siamo arivati al campo di prigionia abbiamo leto una cosa scritta sopra al portone di entrata “Kriegsgefangenenlager” e noi genovesi abiamo capito “chinefanfanafammedaladdri” che tradoto vuol dire “qui ci fanno fare una fame da ladri” e così siamo restati molto preocupati…”
Emanuele ritornerà in Italia nell’autunno del 1918. Non andrà subito a casa, raggiungerà ancora la sua Compagnia al fronte per continuare il suo servizio di guerra. Trascorsi alcuni mesi, Italia e Austria firmeranno l’armistizio il 4 novembre 1918. Terminato il conflitto e ritornato nella sua Valbrevenna, di tutte le sue esperienze di guerra Emanuele non vorrà più parlare. Rimane una sua unica e preziosa testimonianza registrata negli anni ’70 in cui all’intervistatore descrive con lucida memoria le località, le date e gli aneddoti che lo accompagnarono in quei tre anni di guerra con il 1° Reggimento Alpini Battaglione “Monte Clapier”. Noi oggi trascriviamo questa sua intervista per ricordare la sua storia.