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La figura di Mario Maddalena, irredente trentino e volontario di guerra.

La guerra ha strappato la vita a tantissimi ragazzi giovani, ragazzi da poco diciottenni  partiti dalle loro case per essere scaraventati nell'incredibile macchina della morte chiamata Prima Guerra Mondiale. Questa è la storia di uno di loro, di uno dei famosi ragazzi del '99 che prese parte al conflitto ben prima della chiamata alle armi della sua classe, ovvero nel 1916. Grazie a questo approfondimento abbiamo la fortuna di conoscere l'incredibile storia di Mario Maddalena, storia che comincia con l'arrivo nel Battaglione "Val Natisone" conclusasi nel XXIX° Reparto d'Assalto degli Arditi.

A cura di Paolo Pedri

Mario Maddalena nacque a Rovereto (Tn) il 28 settembre 1899 da Eugenio Maddalena ed Elvira De Eccher.
Nel gennaio del 1915, prima dell’ingresso in guerra dell’Italia, scapparono da Rovereto, in quanto tacciati di sentimenti filo-italiani. Il giovane Mario, così come molti altri suoi compagni, si recò direttamente a Milano, deve Cesare Battisti ed altri irredentisti trentini stavano organizzando la resistenza. Tentò di arruolarsi volontario nel Battaglione “Negrotto”, ma gli fu impedito a causa della troppo giovane età. Fu quindi costretto a raggiungere la famiglia a Verona e ricominciare gli studi interrotti. In cuor suo, però, non accettava di rassegnarsi senza combattere. Dopo alcune settimane, infatti, presentò domanda al 6° Reggimento Alpini, presumibilmente falsificando la data di nascita, e, il 1° luglio 1916, fu accettato alla Scuola Allievi Ufficiali di Primolano (Tn) da cui uscì con il grado di “Aspirante” e fu subito inviato in zona di guerra con l’8° Reggimento Alpini, Battaglione Val Natisone.
A novembre 1916, il Val Natisone sostituì il Cividale nella difesa di “Busa Alta” (q. 2456, del gruppo del Lagorai), allargando anche l’occupazione italiana fino alle posizioni di monte Cardinal e restandovi fino ad ottobre del 1917 quando, in seguito agli avvenimenti sul fronte Giuliano, fu costretto a lasciare le posizioni.
Durante quell’anno trascorso sul fronte trentino, Maddalena partecipò a numerosi fatti d’arme sui monti Cauriol, Cardinal, Cima Cece e Cima d’Asta, per i quali si guadagnò un Encomio Solenne (in tale circostanza, subì anche una lieve ferita ad un piede) e fu promosso prima “Sottotenente” (a novembre 1916) e, infine, “Tenente” (a luglio del 1917).
Successivamente, quando l’Esercito italiano fu costretto a ritirarsi dal Trentino, Maddalena seguì il proprio Battaglione sul Monte Grappa, dove, però, rimase solo pochi giorni a causa di una nuova slogatura al piede che lo costrinse a passare da un ospedale all'altro fino ai primi di marzo del 1918. Uscito dall’ospedale di Verona in aprile, frequentò il corso Bombardieri a Chievo, che completò nel giugno del 1918.
In quel periodo, il suo vecchio Battaglione (Val Natisone) era stato quasi distrutto e, saputo della presenza del XXIX° Reparto d’Assalto del Capitano Gambara in Val Lagarina, proprio vicino a Rovereto, la sua città natale, fece domanda di trasferimento, che venne accettata.
Così, il 1° luglio 1918, Mario Maddalena, con il nome di battaglia di “Mario Ferrario”, assunse il comando di una sezione di pistole mitragliatrici (Villar Perosa) nel 29° Battaglione d’Assalto, giusto in tempo per partecipare alla sua prima ed ultima azione con gli Arditi: la sanguinosa battaglia per la riconquista di Doss Alto di Zures, detta anche Quota 703, avvenuta il 3 agosto 1918, durante la quale perse la vita. 

Ciò che ci lascia oltremodo sbigottiti, sono le circostanze in cui è avvenuta la sua morte.
Il colpo di mano perpetrato dagli Arditi, che vedeva Maddalena alla testa di una delle cinque colonne d’assalto, ebbe esito favorevole per gli italiani. L’operazione fu violentissima ma rapida. Fu condotta con energia ed entusiasmo sotto una pioggia infernale di colpi di mitragliatrice e di artiglieria.
Pochi minuti prima che il presidio austriaco capitolasse, Maddalena si trovava ancora impegnato in furiosi combattimenti sul rovescio del dosso. Ferito al ginocchio e alle tempie, sentendosi in procinto di svenire e vedendo una pattuglia nemica che si avvicinava, con le ultime energie rimastegli decise di porre fine alla propria esistenza, sparandosi un colpo in bocca con la sua rivoltella d’ordinanza. Nei suoi pensieri, ciò avrebbe almeno evitato a sé e ai suoi cari l’agonia della prigione e dell’inevitabile impiccagione riservata ai traditori dell’Impero.
Il comandante del Battaglione d’Assalto lo propose per la medaglia d’oro ma i superiori optarono per la medaglia d’argento la cui motivazione, per quanto bella, ha il torto di non accennare alla fine da lui prescelta e alle condizioni sue speciali di irredento e di soldato volontario, combattente per la propria terra: “Maddalena Mario da Rovereto, tenente nel 29° Reparto d’Assalto, comandante di due sezioni mitragliatrici in una Compagnia d’Assalto, nella preparazione di un’azione offensiva, eseguiva ardite ricognizioni fin sotto le vedette nemiche, riportando utili e preziose notizie. Eludendo poi l’intensa vigilanza dell’avversario, guidava i suoi uomini ad appiattarsi a breve distanza dalla posizione da assalire, ed ivi restava per ben undici ore in attesa del segnale d’attacco. Al momento opportuno muoveva quindi, con bello impeto, alla difficile conquista, e, raggiunto lo sbocco di una galleria difesa da una mitragliatrice nemica, personalmente scaricava contro di questa una delle proprie armi da lui tolta al capo armato caduto. Ferito, rinunciava ad ogni soccorso, riordinava i suoi uomini e riprendeva a combattere con immutato entusiasmo, finché non venne colpito nuovamente a morte. Dosso Alto di Zures (Riva), 3 Agosto 1918”.

Il giorno 10 Agosto 1918, l’amico Virgilio Berti, suo commilitone ed anch’egli Volontario irredente, originario di Riva del Garda (nome di guerra Riccardo Maroni), inviò una toccante lettera alla famiglia di Maddalena, per comunicare la morte del figlio e per descrivere, come d’usanza, il frangente in cui avvenne:
“E’ una brutta nuova quella che devo annunciarvi, ma oggi, la più ferma volontà deve renderci impassibili davanti al più forte dolore. Verso i primi del mese si parlava dell’azione per la ripresa di q. 703 (Doss Alto di Nago) e mentre nelle batterie fervevano i preparativi e gli aggiustamenti - autocarri d’arditi, alpini dalla fiamma nera – si susseguivano senza interruzione per recarsi in prossimità del luogo ove il 3 scorso, diedero prova di senno e del più alto valore. Fra essi, seppi poi, c’era uno dei nostri; fratello minore di studi nelle scuole Reali di Rovereto, in cui lo conobbi e l’apprezzai; oggi, da tempo volontario alpino, poi ardito anelante a più aspre lotte. Verso le 11 di quel giorno, era balzato coi suoi arditi, ebbro di vincere, verso le linee nemiche, fortemente sistemate a difesa; il suo manipolo d’eroi trovò però contro di sé una difesa che valeva non meno della loro offesa, del loro valore. Ferito leggermente, ha un momento di inquietudine pei suoi, teme di non giungere lassù, sulla quota contesa, e dinnanzi gli si para il patibolo, su cui sarebbe stato immolato se prigioniero. Non esita ed esplode contro di sé il colpo mortale. Fatale errore che poteva salvare una così nobile vita! Poco dopo, con perdite minime, la quota è presa. Ed è saldo dominio dei nostri! Tra i pochi caduti, proprio lui e di sua volontà; pochi minuti, un’esitazione più lunga, gli avrebbero mostrato nel suo splendore, la piccola grande vittoria di q. 703. Avrebbe visto i molti nemici prigionieri, sfilare dinnanzi a sé, vincitore; avrebbe assistito coi suoi al fuoco furente di rabbia, scatenatosi dagli austriaci, ed infine partecipato alla gloria del suo reparto vittorioso. La fatalità ce lo rapì; ed ora riposa il sonno degli eroi, in una modesta tomba, accanto a due altri suoi compagni d’azione, nel cimitero di Brentonico, in terra, tra zolle redente. Noi volontari, lo riprenderemo un giorno, per portarlo laggiù, nel suo cimitero a Rovereto, ove la pietà della famiglia e degli amici orneranno la sua tomba d’ogni fiore, di sempreverdi. Mi sembra di rivederlo ancora giovine, quasi bambino, tutto vita ed entusiasmo; tutto fede e speranza; e non so immaginarmelo laggiù, sotto quel tumulo nero, che opprime la sua grande anima, così piena d’alte idealità”.

Il triste fatto d’arme fu ricordato anche da un altro suo compagno, pure lui ufficiale del 29° Reparto d’Assalto e presente quel giorno sul luogo della battaglia, il Sottotenente Rocco Lazazzera:
“…come accennai, appena ferito una prima volta ad un ginocchio, rifiutava ogni soccorso perché la lesione non era grave. La Quota era stata già occupata all’interno dal Tenente Goldoni e dai suoi uomini, ma gli altri arditi erano su di essa e non potevano riuscire a trovare l’imbocco del pozzo pel quale si era calato Goldoni, né altri sbocchi di galleria; si aggiravano quindi di corsa su di essa, in cerca di questi accessi, mentre tanto l’artiglieria nostra che l’avversaria versava torrenti di piombo. Ferrario si trovò fra questi disordinati.
Le mitragliatrici che tiravano da Zures, il fuoco continuo, la disperazione di questi arditi che non riuscivano ad entrare nelle gallerie, la confusione del momento, l’eccitazione di tutti i combattimenti, fecero sviluppare nell’Ufficiale il tossico dello scoraggiamento. 
Una scheggia lo ferisce alla tempia destra, è la seconda ferita. Grondante sangue dal ginocchio e dalla fronte egli si aggira ancora un poco pel camminamento ma è di già avvilito, disorientato; ode grida confuse, egli ha la visione della ruina, non sa quale sia stata la sorte di tutti gli altri che non vede, pensa alla sua fine, al suo nome, alla sua terra, alla sua condizione:
è estenuato pel sangue perduto e pel l’eccitazione, è convinto ormai di non poter più raggiungere il nostro posto di medicazione, di dover rimaner lì, senza sensi; si vede tra gli austriaci, preda nemica, smascherato, punito, impiccato… le gambe gli si piegano, ha ancora la forza di tirarsi un colpo di pistola in gola e cade in ginocchio, con le braccia per terra incrociate ed il capo su di esse riverso. Questo era il suo piano! Ecco perché non temeva di essere fatto prigioniero! Povero piccolo caro! Alla sua memoria fu conferita la Medaglia di Argento, la cui motivazione, per quanto bella, ha il torto di non accennare alla fine dell’eroe da lui voluta e alle condizioni sue speciali di irredento e di soldato”.
 
Sul Doss Alto di Nago è oggi presente un cippo commemorativo e presso il Museo della Guerra di Rovereto è esposta la sua giubba in una vetrina dedicata al 29° reparto d’Assalto che combattè in Val Lagarina.

 

Fonti:

-Archivio della Legione Trentina (FMST)
-Fiamme d’Assalto”, di Rocco Lazazzera, 1925
-Il XXIX° Reparto Alpini d’Assalto in Val Lagarina”, di Paolo Pedri, 2019
-Genesi di un Ardito: Francesco Giangrande 1915-19”, di Paolo Pedri, 2022

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